Ogni volta che l’uomo incontra l’altro gli si presentano tre possibilità: fargli guerra, ritirarsi dietro a un muro, aprire un dialogo. È con questa riflessione del grande scrittore e viaggiatore Ryszard Kapuscinski – citato giustamente in catalogo da Benedetto Gugliotta, curatore dell’attuale mostra in Classense – che si può comprendere la linea guida de Il genio vagante, interessante esposizione (visibile fino al 12 luglio) che a Ravenna restituisce le figure di tre grandi esploratori, accomunati dalla nascita ravennate: Francesco Negri, Romolo Gessi e Pellegrino Matteucci.
L’apertura al dialogo, che è la scelta vincente in questo caso, rappre-senta un modo saggio di contestualizzare le esperienze del passato, scortecciando le interpretazioni coeve o successive, inconsapevoli o peggio, tese alla manipolazione delle esperienze a fini politici ed economici. Attraverso biografie e immagini, mappe dei viaggi, documenti e pubblicazioni dei protagonisti, interpretazioni a stampa delle generazioni successive, oggetti africani collezionati dai viaggiatori e una bella scultura dell’artista contemporaneo Victor Fotso Nyie, la mostra invita a mettersi in posizione consapevole e reciproca.
Occorre quindi mantenere una posizione critica rispetto ai racconti di chi ha vissuto e viaggiato con un bagaglio di interpretazioni molto lontane dal nostro mondo, mettendosi in posizione di ascolto di civiltà il cui patrimonio naturale e culturale fino a tempi recentissimi è stato visto, narrato e schedato secondo principi di classificazione occidentali, quasi sempre ciechi, devianti, razzisti o, alla meglio, paternalistici.
Il primo di loro – Francesco Negri (1623-1698) – è una figura a parte rispetto ai colleghi con i quali condivide quasi unicamente una enorme passione per l’esplorazione. Diverso il secolo – Negri è vissuto in pieno ‘600 –, differenti le mete – per lui l’estremo Nord europeo –, lontano lo spirito che per lui non coinvolge armi, rotte commerciali, materie prime da classificare e commerciare, espansioni coloniali da implementare. Per quel che si comprende dalle sue memorie e dagli studi storici, pur essendo un parroco, Negri non tenta di fare proselitismo. Anzi, nel 1688 pubblica un testo che chiarisce gli aspetti rituali delle chiese protestanti di cui diviene esperto. Casomai è la sua inesauribile sete di conoscenza e lo sviluppo del pensiero scientifico a spingerlo a viaggiare in lungo e largo per l’Europa, fra Spagna, Francia, Fiandre, Olanda, Svizzera, Germania, Boemia, Ungheria, Inghilterra, e a tentare per due volte di raggiungere Capo Nord, riuscendoci al secondo tentativo. Per molti motivi, Negri è assimilabile all’illustre predecessore bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605) che aveva viaggiato continuamente per tutta la prima parte della sua vita, affermando che a spingerlo era stato il “desiderio insin dalla mia prima età di sapere”. Può darsi che Negri avesse visitato il Museo scientifico e l’Orto dei semplici creati da Aldrovandi nella vicina Bologna; di sicuro ne condivide la stessa passione, lo stesso impulso a scoprire territori inesplorati – Ulisse aveva preventivato senza successo un viaggio scientifico nelle Americhe – testimoniando usi e costumi, fenomeni naturali sconosciuti. Nel viaggio verso Capo Nord, preparato anche sulla lettura della Storia dei popoli settentrionali dello svedese Olao Magno (Olof Månsson), il ravennate conosce e descrive i Sami, utilizza per primo gli sci, vede le aurore boreali, basandosi sull’osservazione sfata il mito del Maelstrom e del suo inesistente gorgo infernale. Non riuscirà a pubblicare in vita che una sintesi del suo viaggio, trascritto, epurato e stampato solo dopo la sua morte.
Diversamente da lui, Romolo Gessi (1831-1881) ha tutt’altra formazione. Perfino la sua nascita da un inglese e un’armena su una nave che da Ravenna veleggia verso Costantinopoli appare come un presagio al suo destino a cavallo fra diverse civiltà e stili di vita: figlio di console, sarà cittadino britannico ma vivrà fra Oriente, Europa e diversi stati africani; possiede una formazione militare ma lavora come interprete in Crimea, come perito e imprenditore in Romania, diventando amministratore di regioni africane per conto degli inglesi e primo esploratore di aree degli attuali stati del Sudan del Sud e Congo. Senza mettere in dubbio il suo spirito avventuriero, occorre comunque contestualizzare l’attività di esplorazione che viene svolta principalmente al servizio della corona inglese allo scopo di reperire vie sicure di avanzamento coloniale e arginare così le mire espansionistiche del Belgio, come spiegano bene gli interventi in catalogo di Gugliotta, Alessandro Luparini e Gaia Delpino. La medesima ambiguità vale per le azioni di guerra condotte da Gessi contro i ribelli arabi che conducono la tratta degli schiavi in Sudan: quanto fossero dettate dalla fede illuminista e quanto dalla necessità di controllo territoriale imposte dalla Gran Bretagna è difficile da stabilire.
Membro onorario della fiorentina Società Geografica Italiana grazie alle sue scoperte, Gessi frequenta saltuariamente Trieste, dove risiedono la moglie di origine ceca e i figli. In Italia incontra il ravennate Matteucci, col quale progetta nel 1877 un viaggio nell’Etiopia meridionale: i contrasti avuti col governatore inglese del Sudan per cui aveva lavorato possono giustificare questo cambio di alleanze, che lo allineano agli interessi italiani nel Corno d’Africa. Da una decina di anni, infatti, una società italiana aveva acquistato il porto di Assab in Eritrea, quello che diventerà la base dei tentativi di espansione coloniale italiana negli ultimi venti anni dell’Ottocento. Passa alla cronaca che la causa dell’insuccesso della spedizione fu la resistenza delle popolazioni locali: sicuramente i contrasti fra i due esploratori hanno giocato la loro parte.
Pellegrino Matteucci condivide con Gessi una profonda conoscenza della cultura africana, parla arabo, ma la sua formazione è cattolica, umanistica e medica. Le sue due spedizioni fra Etiopia ed Eritrea, a cui segue l’attraversamento dell’Africa centrale dal Mar Rosso al Golfo di Guinea, sembrano meno debitrici ai giochi politici internazionali. Sicuramente è costretto ad accettare compagni di viaggio interessati alla caccia grossa più che alla scienza – ma d’altra parte il principe Borghese era il maggiore finanziatore del viaggio – ma per Matteucci si tratta di compiere un tragitto mai tentato da europei prima di allora.
In mostra, oltre alla documentazione autografa, alle stampe e ristampe degli scritti degli autori, alle rivisitazioni delle loro avventure che arrivano a fumetti e libri contemporanei, ci sono alcuni oggetti delle collezioni di Gessi e Matteucci, conservate in Classense e al Museo delle Civiltà di Roma, già Museo Preistorico Etnografico Pigorini. Si tratta di varie armi ma anche di oggetti d’uso o rituali come un ferro-moneta Fung (Sudan) e una bellissima tromba portavoce della civiltà Bongo, residente nell’attuale Sudan del Sud.
Si tratta di oggetti comprati o tolti alle mani dei nemici, sottratti comunque ai luoghi e culture di origine che riportano a querelle affrontate già in passato – ma fra paesi europei – da Quatremère de Quincy per le sottrazioni francesi in Italia e Spagna, fino alla mai sopita diatriba fra Grecia e Gran Bretagna sui marmi del Partenone, acquistati dagli invasori turchi.
Gli oggetti sono innocenti ma testimoniano quella lunga storia umana di soprusi che è stata esercitata anche dagli italiani. Al di là delle loro vite e intenzioni, al di là degli oggetti da loro raccolti, Negri, Gessi e Matteucci sono poi diventati gli eroi precoci delle avanzate coloniali italiane: la prima sotto i governi De Pretis-Crispi-Giolitti, quella che, per fare un esempio, a seguito di una sconfitta militare sul campo, per rappresaglia trasferì e incarcerò in Italia 5.000 persone di nazionalità libica, distribuendole fra Ustica, Ponza, Favignana, Gaeta e le Tremiti. Fra queste c’erano centinaia di anziani, donne, bambini, di cui la maggior parte morì di stenti e malattie nel giro di un anno. La seconda avanzata, attuata e rivendicata dal fascismo, è quella che, per citare un altro esempio, tramite l’aviazione sparse l’iprite – un gas corrosivo e mortale – sulla popolazione etiope, colpevole di resistere alla conquista italiana.
Questa mostra indica la strada ma i conti col passato, per tutti noi, sono ancora aperti.
“Il Genio vagante. Negri, Gessi e Matteucci:
storie di viaggiatori tra Seicento e Ottocento”
Biblioteca Classense / Corridoio Grande
Fino al 12 luglio; orari: lu14-19; ma-sa 9-19; ingresso libero